Una banda di quattro ragazzini sta cercando di rubare gli pneumatici da una Mercedes parcheggiata in un garage, ma una guardia li mette in fuga. Ali, dodici anni, assieme ai suoi tre amici, cerca di sopravvivere e sostenere la sua famiglia, attraverso una vita divisa tra lavoretti e piccoli crimini. Teheran è la loro città, una metropoli che abitano e affrontano senza genitori, senza una guida, senza nessuno che li segua. Ali, dopo un malinteso spaventoso, viene avvicinato da un uomo che gli rivela che sottoterra, vicino una scuola, è stato sotterrato un tesoro.
Quest’uomo gli affida il duro compito di scavare un tunnel sotto la scuola e scovare questo fantomatico tesoro. L’unico problema è che per avere accesso al tunnel è necessario iscriversi alla Scuola del Sole, un’associazione che cerca di educare e salvare i bambini che vivono in strada. I quattro bambini, presi dall’entusiasmo di una vita ricca, più fortunata, si iscrivono alla Scuola del Sole e, mentre seguono le lezioni, a turno scavano il tunnel che gli garantirà l’accesso al bottino nascosto.
Khorshid (Sun Children): il film di Majid Majidi
Khorshid, opera diretta da Majid Majidi, e presentata in concorso alla 77ª Mostra internazionale d’arte cinematografica di Venezia, è un dramma iraniano viscerale, commovente, un racconto che condanna a gran voce il lavoro minorile. Si presenta come una parabola dickensiana, una narrazione intensa e tragica sostenuta dal corpo e dal volto di quattro ragazzini. Quel che si può notare fin dall’inizio è l’estrema somiglianza del protagonista di Khorshid, Rouhollah Zamani, a Enzo Staiola di Ladri di biciclette. Il volto di Ali è un volto duro, adulto, molto aspro, pieno di spigoli, di angolature, di ombre; è inevitabile lanciarsi in un confronto del genere, dacché anche il piccolo protagonista del capolavoro di De Sica trattiene caratteristiche simili. Nel più puro stile neorealista, Khorshid attinge dal pozzo dei drammi dei bambini per farne una critica sociale e un ritratto di una gioventù negata.
Sicuramente il dramma di Majid Majidi convince per la tematica che percorre l’intera narrazione, un racconto che investiga la povertà, la strada, la difficoltà dei bambini iraniani e afghani, il lavoro minorile e una certa indifferenza della società e degli adulti. Majid Majidi però costruisce diverse trame, tentando di legarle l’una alle altre, ma non sempre questo riesce a sfociare in una tessitura drammatica coesa e coerente. L’ambizione di osservare tante questioni è ammirevole, purtroppo però alcuni personaggi non hanno il tempo di svilupparsi, non sempre hanno modo di essere caratterizzati al meglio.
Una parabola dickensiana
Il messaggio di fondo della storia è piuttosto chiaro: troppi bambini, a causa della negligenza o dello sfruttamento degli adulti, si trovano a dover combattere con situazioni più grandi di loro. La didascalia iniziale recita, non a caso, dedicato a tutti i bambini sfruttati. Questa intuizione, che converge poi con gli attimi finali della storia, possiede una autenticità inconfutabile. I bambini sono costretti alla povertà, una povertà estrema, sono spesso senza una casa, con un genitore assente, o in ospedale, o deceduto, costretti a dover subire la loro condizione e a dover risolvere i problemi degli adulti e per gli adulti. Purtroppo il regista investiga la povertà ma non indaga a fondo, non scende nel dettaglio; i protagonisti sono succubi di una narrazione che non li inserisce nella giusta prospettiva, e la loro verità non viene espressa in tutte le sue sfaccettature. Khorshid rimane un’opera intensa ma limitata.