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The Carpenter’s House: recensione dell’horror di Brace Beltempo
The Carpenter’s House è un film horror del 2018, primo lungometraggio del regista milanese Brace Beltempo. Si tratta di un prodotto con budget vicino allo 0, distribuito in Home Video da Home Movies, che dopo i successi di film come Dante va alla guerra e Milzaman si conferma una realtà più unica che rara, capace di valorizzare e dare voce a progetti piccoli ma pieni di passione e talento, che avrebbero altrimenti faticato a vedere la luce. The Carpenter’s House è un sensuale e truculento slasher, con un cast quasi esclusivamente femminile, fra cui spiccano le 4 protagoniste Selene Feltrin, Alessia Semprebuono, Soraya Maggio e Marika Esposito.
Le quattro seducenti componenti della rock band tutta al femminile Vicious Lips decidono di recarsi a girare il loro prossimo videoclip all’interno di una falegnameria abbandonata, nota in passato come teatro di sevizie e delitti. Una volta arrivate a destinazione, le ragazze si accorgono però che il luogo è tuttora abitato da inquietanti figure. Le protagoniste precipitano così in un vortice di violenza e orrore, che sconvolgerà le loro esistenze.
The Carpenter’s House: lo slasher ginecologico di Brace Beltempo
In un panorama horror contemporaneo sempre troppo patinato e schiavo del politically correct, Brace Beltempo ci propone uno slasher dal retrogusto vintage e dall’ipnotico sound metal, incentrato essenzialmente sul palpabile erotismo delle 4 splendide protagoniste e impreziosito da notevoli momenti di torture porn, che trovano una riuscita miscela fra ammiccanti inquadrature delle grazie delle attrici ed efficaci effetti speciali artigianali. Dopo l’incisiva introduzione delle 4 aspiranti rockstar, che, a differenza di quanto avviene solitamente in progetti low budget, sono tutte ben caratterizzate e distinguibili, veniamo infatti condotti all’interno di un vero e proprio horror ginecologico, che utilizza intelligentemente la carica erotica delle protagoniste come filo conduttore di un racconto conturbante e trasgressivo, capace di intrigare e appagare lo spettatore.
Fra inquadrature di fondoschiena da ogni angolazione, impudichi dialoghi, provocanti strizzate d’occhio e addirittura una breve sequenza lesbo, The Carpenter’s House ci fa nuovamente respirare atmosfere che credevamo dimenticate, che ci riportano direttamente al libertino cinema di genere degli anni ’70 e al suo proverbiale connubio fra eros e violenza, utilizzando un canovaccio non particolarmente originale come quello della casa abbandonata, declinato però efficacemente in salsa sesso & rock. La fragilità di alcune sequenze interlocutorie, dovuta anche alla recitazione comprensibilmente legnosa delle interpreti, è così ampiamente compensata dall’atmosfera di crescente disagio e da un climax di gore, capace di regalare due momenti riservati agli stomaci forti e totalmente credibili, nonostante il basso budget a disposizione del progetto.
The Carpenter’s House: un film di genere inquietante e appagante
Brace Beltempo fa di necessità virtù, mostrandoci quanto necessario e celandoci quanto invece può essere sviluppato dalla nostra fantasia. L’opprimente buio che ospita le protagoniste e la distorta fotografia di alcune scene diventano così espedienti pratici e mai fastidiosi che compensano la carenza di mezzi. La colonna sonora, curata dallo stesso regista con un mix fra brani metal originali e un magnetico sound che ricorda il John Carpenter di Halloween, aiuta invece lo spettatore a immergersi nello spirito estremo ed eversivo del film ed enfatizza i contrasti che man mano emergono fra le voluttuose protagoniste. Nonostante qualche perdonabile difetto, come degli antagonisti decisamente poco convincenti, The Carpenter’s House riesce così a intrigare, scuotere e intrattenere lo spettatore per poco più di un’ora, facendo sincero cinema di genere e concedendosi il lusso di una serie di capovolgimenti di fronte nell’atto conclusivo, preludio a un inquietante finale.
Un plauso quindi alle attrici (fra le quali si distingue per carisma ed espressività Selene Feltrin), che sfruttano la loro sensualità in maniera adeguata alla caratterizzazione dei rispettivi personaggi, rivelandosi così valide scream queen, e soprattutto a Brace Beltempo, che cura personalmente diversi ambiti del progetto, dalla regia al sound, passando per la fotografia, alzando decisivamente l’asticella qualitativa e sopperendo con il proprio talento alle limitazioni produttive.
The Carpenter’s House si rivela così un horror piacevole e soddisfacente, sia dal punto di vista visivo sia per quanto riguarda lo splatter, che irrompe prepotentemente nella seconda parte del film, regalandoci sequenze dal forte impatto emotivo, a cui il cinema mainstream ci ha disabituato. Un prodotto che testimonia la vitalità del nostro cinema di genere, soprattutto in ambito indipendente, e che porta alla ribalta un promettente cineasta nostrano come Brace Beltempo, che ci auguriamo di vedere nuovamente alla prova in progetti di portata più ampia.
Overall
Verdetto
The Carpenter’s House è un coinvolgente e conturbante film di genere, che riesce a sopperire allo scarso budget grazie all’abilità dietro alla macchina da presa di Brace Beltempo, capace di mantenere il livello qualitativo sempre alto e di regalarci alcuni notevoli momenti gore.
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The Ladies Diary: recensione del documentario di Sara Trevisan

Chimamanda Ngozi Adichie (L’ibisco viola, Metà di un sole giallo, Americanah, Dovremmo essere tutti femministi) durante l’ormai celebre conferenza TED talks, ha discusso e analizzato come le nostre vite, e quindi le nostre culture, siano composte di molte storie che si intrecciano. Quel che la scrittrice nigeriana ha spiegato è come la storia singola sia un pericolo. La storia unica crea stereotipi e una delle conseguenze è che sottrae alle persone la propria dignità. Rendersi conto che non c’è mai una storia unica riguardo a nessun posto è importante, perché la molteplicità e la pluralità delle storie sono fondamentali. Le storie si possono usare per dare forza e umanizzare, per dare complessità a un luogo, a una nazione o a un popolo.
I pericoli di una storia unica sono l’input del documentario di Sara Trevisan, The Ladies Diary, che racconta le vite di sei donne in Myanmar: Ketu Mala, Mu Li, Misu, Eh Eh, Nyein e Hannay. Ketu Mala è una monaca buddhista. In Myanmar il buddhismo è praticato da circa il 90 per cento della popolazione; nella società birmana convivono circa 500mila monaci e 75mila monache. Mu Li è una guida turistica, vive in un villaggio circondato dalle montagne del Kayah State, una regione interna della Birmania. Misu è una donna che ha costruito una scuola di formazione professionale e un santuario per i gatti birmani, a ridosso del lago Inle. Eh Eh è una giovane MMA fighter (arti marziali miste), l’unica ragazza che lotta nella palestra dove si allena. Nyein è una giornalista, lavora come editor della sezione lifestyle del Myanmar Times, e Hannay è una musicista e dirige una scuola di musica.
The Ladies Diary: il documentario di Sara Trevisan
All’interno di The Ladies Diary, Yin Myo Su, conosciuta come Misu, afferma che «il nostro paese è stato sempre molto frainteso, perché è molto chiuso: siamo stati isolati dal resto del mondo per molti anni». «Per dirti cos’è oggi il Myanmar», afferma Misu, «avrei bisogno di due giorni per raccontare cos’è successo dal XVIII ad oggi». Misu è cresciuta in Myanmar in un’epoca segnata da violenza politica, povertà e controllo repressivo delle informazioni. Solo dal 2015, in seguito all’elezione di Aung San Suu Kyi alla guida del paese, il Myanmar ha avviato un tentativo di diventare una società democratica, libera e aperta.
Il Myanmar è un paese dove giganteggia, e domina, la figura del premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, e le persone, giustamente, sono fiere del fatto che ci sia lei alla guida del paese. Ma per Misu il Myanmar va oltre il suo governo, è molto più della leader birmana, ha un passato e un presente complesso ed è importante raccontare anche altre storie su questo paese. Storie di cui non si sente parlare. Storie di donne, di diseguaglianze, di disparità di genere, di ingiustizie sul lavoro, di violenze. Storie che devono essere raccontate.
Uno spaccato di vita quotidiana di sei donne birmane
The Ladies Diary è l’occasione perfetta, e riuscita, di realizzare un ritratto autentico del cambiamento del ruolo femminile nel paese, uno spaccato di vita quotidiana di sei donne birmane. La necessità di raccontare la realtà vera di questa nazione è un’esigenza che fra tutte muove Nyein; come giornalista è suo compito denunciare i cambiamenti della società birmana. A partire dalla censura che, prima dell’insediamento del governo democratico, riteneva e bollava i giornalisti come oppositori del governo, e che ancora oggi è presente in altre vesti; e ancora, come in generale i media comincino ad includere le donne nell’industria, anche se solo come annunciatrici.
Nel mondo editoriale del Myanmar, inoltre, le giornaliste spesso non possono coprire notizie dalle zone di guerra, non rivestono cariche importanti o ruoli decisionali. Le donne non sono spronate ad assumere ruoli decisionali o non si sentono abbastanza sicure ad accettare grandi responsabilità. Nella società birmana il congedo di maternità dura solo tre mesi: se si è in ritardo sul lavoro, o non si trovano storie di cui scrivere, lo stipendio viene decurtato. Le donne non possono valicare determinati luoghi sacri, sono tenute spesso ai margini delle comunità religiose, e non solo. Se una donna vuole andare in tv ed esibirsi, come accade ad Hanney, è costretta a coprire i suoi tatuaggi; per gli uomini, invece, non è assolutamente vietato mostrarli.
Raccontare una società plurale attraverso il corpo e la mente delle donne
The Ladies Diary descrive il Myanmar e mostra come sia pericoloso limitarsi a una singola storia. Il documentario di Sara Trevisan dà voce a più persone, dà il potere narrativo alle donne, tessendo tante storie assieme. Attraverso la voce delle sei protagoniste possiamo apprendere cosa significa praticare arti marziali in un mondo dominato dagli uomini, come si configura l’enorme rispetto verso la cultura e le tradizioni birmane, come si preservano le radici e si salvaguarda la cultura di un paese. Raccontare, tutelare e rispettare la cultura è un compito che riguarda tutti e tutte. The Ladies Diary mostra quanto l’atto di raccontare una società plurale e complessa come quella birmana, attraverso il corpo e la mente delle donne, sia necessario per il bene e per il futuro del Myanmar.
The Ladies Diary, una produzione Walking Cat, è disponibile su Amazon Prime Video.
Overall
Verdetto
The Ladies Diary è un ritratto autentico del cambiamento del ruolo femminile in Myanmar, uno spaccato di vita quotidiana di sei donne birmane che si muovono in una società ancora troppo emarginante.
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No vendetta no party: recensione del film di Ivan Brusa

«È un thriller. Parla principalmente di vendetta, anzi, di più vendette». Queste parole pronunciate nei primi minuti dalla protagonista Eleonora (un’efficace Michela Maridati) sono probabilmente la definizione migliore di No vendetta no party, nuova produzione di Toro! Cinematografica ed esordio alla regia di Ivan Brusa, disponibile da qualche giorno nel catalogo di Amazon Prime Video. Un’opera venata di ironia, ma in cui si percepisce quello stesso sconforto generazionale che alimentava anche la precedente produzione di Toro! Cinematografica Dante va alla guerra di Roberto Albanesi (qui produttore e protagonista di un cameo). Fra le pieghe di un racconto intriso di rabbia e violenza, si avverte infatti tanta amarezza per la situazione lavorativa e sociale attuale, in cui molte persone dalle elevatissime competenze faticano a trovare un impiego dignitoso.
No vendetta no party: l’opera prima di Ivan Brusa

Come dicevamo in apertura, la protagonista di No vendetta no party è la plurilaureata Eleonora, che nonostante le sue eccellenti credenziali riesce a ottenere soltanto uno squallido impiego part-time come distributrice di sconti, trovandosi così costretta a vivere con il suo rozzo e misogino padre (il fedelissimo della Toro! Cinematografica Paolo Riva). La delusione per la sua condizione le provoca rabbia, che a sua volta sfocia in violenza. Gli obiettivi della vendetta sociale di Eleonora diventano figure come le youtuber o le fashion blogger, che riescono invece a trarre beneficio dall’ecosistema dei social network. Con l’aiuto del freak Carletto (Alessandro Davoli, che ricorda Bob di Twin Peaks) e dello spavaldo Primo (interpretato da Brusa), che le procurano potenziali vittime, Eleonora diventa una spietata serial killer. La violenza si ritorce però contro la ragazza quando viene rapita da altre due malviventi una persona a lei cara.
Brusa gioca coi generi e le atmosfere, costruendo un universo di personaggi che vanno oltre il bizzarro e che, ognuno a suo modo, raccontano le deformazioni della società contemporanea. Al centro di tutto c’è il trio composto da Eleonora e dai suoi due aiutanti, alimentato dal morboso interesse sessuale nei confronti della ragazza. Le scene che coinvolgono i tre, in bilico fra eros e orrore, sono le più riuscite di No vendetta no party, ed è in questi frangenti che diventa più chiara e tangibile la critica di Brusa, che non punta solo sulle nuove professioni legate ai social, ma anche e soprattutto sulle dinamiche del lavoro tradizionale, sottopagato e svilito in ogni maniera dai più squallidi faccendieri.
La sorprendente Michela Maridati incarna perfettamente questo livore, mettendo in scena una folle e scaltra assassina, capace di sfruttare il suo ascendente erotico ma anche di rivelare debolezze, come nel caso del suo tormentato rapporto col padre.
Fra violenza e critica sociale
Parallelamente, il regista proietta la sua verve sovversiva anche contro lo status quo del suo stesso ambiente, cioè il cinema mainstream nostrano. Si perde il conto delle piccate battute sui più celebri esponenti della nostra cinematografia contemporanea, come Gabriele Muccino, Paolo Virzì, Ferzan Ozpetek e Riccardo Scamarcio. Anche grazie al supporto al montaggio di Nicola Crucinio, No vendetta no party si ferma sempre un attimo prima di eccedere nella goliardica parodia e mantiene intatto il suo genuino spirito di protesta. In quest’ottica, non è un caso che l’inserimento di nuovi personaggi nel corso del racconto porti a un clima di tutti contro tutti (o di vendetta contro vendetta), che rappresenta la collera di un’intera generazione, costretta a dividersi le briciole lasciate dai boomer e dalla crisi economica, in una dannosa e insensata guerra intestina.
Nonostante la scarsità di location e qualche personaggio poco incisivo, No vendetta no party riesce a fotografare il sentimento di chi si sente ormai privo di speranze e di sbocchi, finendo per rivolgere la sua rappresaglia nei confronti di chi versa nelle sue stesse condizioni, o in una situazione di poco migliore. Pur con esigui mezzi a propria disposizione, che si fanno sentire soprattutto nel non impeccabile comparto sonoro, Ivan Brusa riesce a evitare la legnosità che contraddistingue molte produzioni a bassissimo budget e a firmare un esordio fresco, vivace e godibile. Se ce ne fosse bisogno, la conferma che al di fuori del circuito mainstream italiano (qui sbertucciato in tutti i modi possibili) ci sono talenti pronti a emergere, che meritano una chance.
Overall
Verdetto
No vendetta no party si rivela una genuina e convincente opera prima, carica di livore e genuina passione, che compensano ampiamente i più che comprensibili difetti tecnici, dovuti all’esiguo budget a disposizione.
Cinema indipendente italiano
No vendetta no party: il trailer del film di Ivan Brusa

Da pochi giorni è disponibile su Amazon Prime Video No vendetta no party, esordio alla regia di Ivan Brusa. Una produzione indipendente targata Toro! Cinematografica, che dopo il gioiellino Dante va alla guerra si conferma una delle più interessanti realtà del sottobosco indie italiano. Siamo infatti di fronte a un mordace thriller, che con pochi mezzi ma molto cuore mette in scena un ritratto esasperato, ironico e amaro della situazione attuale italiana in ambito lavorativo e artistico. In attesa di parlarvi più approfonditamente di No vendetta no party nella nostra recensione, ecco a voi il trailer ufficiale.
No vendetta no party: il trailer del film disponibile su Amazon Prime Video
I protagonisti di No vendetta no party sono Michela Maridati, Roberta Nicosia, Selene Feltrin, Alessandro Davoli, Paolo Riva, Claudio Abbiati, Daniele Giulietti, Ruth Morandini, Noemi Bertoldi, Gianmaria Villani, Davide Artiko e lo stesso Ivan Brusa, che ha curato anche la sceneggiatura insieme a Francesco Carrà. Le musiche del film sono del compositore Armando Marchetti, mentre sui titoli di coda troviamo una canzone del rapper Tony Polo. Questa la sinossi ufficiale:
Eleonora Bianchi, una ragazza pluri-laureata di 27 anni, fa un lavoro part-time che non la soddisfa per niente (distribuisce sconti per materassi) e ha un rapporto di amore/odio con il padre con il quale è costretta a vivere. Per sfogare la propria frustrazione decide di vendicarsi del mondo uccidendo tutte quelle ragazze che, senza aver studiato, hanno soldi e fama ottenuti a suo modo di vedere in modo immeritato (youtuber, modelle, fashion blogger etc.).
Diventa così una specie di serial killer e nella sua impresa si fa aiutare da 2 loschi figuri: Carletto, una specie di freak, e Primo, un ragazzo con la faccia di tolla che adesca le vittime in modo furbo ma gentile. Un giorno rapiscono una youtuber, “La dindirindina”, per chiederne il riscatto all’agente di lei e in seguito giustiziarla.Le cose però non vanno proprio come vorrebbe il trio: ad Eleonora arriva un video sul proprio telefono dove 2 ragazze, dipinte in volto, hanno a loro volta contro-rapito una persona cara alla ragazza.
In conclusione, ecco la locandina di No vendetta no party, che, vi ricordiamo, è disponibile per tutti gli abbonati a Prime Video.