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I delitti del BarLume: recensione della quarta stagione della serie
Dopo esserci lasciati con il distruttivo epilogo della terza stagione, con il BarLume seriamente deturpato dalla collera di Tiziana, torniamo a Pineta per il quarto ciclo di episodi de I delitti del BarLume, realtà della nostra serialità talmente solida da essere arrivata in scioltezza a una settima stagione, dimostrando ancora un’invidiabile freschezza. Anche se il cast è confermato nella sua totalità, siamo indubbiamente di fronte a una stagione di rottura rispetto alla precedente. L’immagine del bar devastato coincide infatti con l’interiorità del Viviani, che ritroviamo in preda a una grave crisi economica e psicologica, causata dalla fine del rapporto con Tiziana e dai debiti da pagare. Ma i fari di Aria di mare e La loggia del cinghiale, i due episodi che compongono questo ciclo (andato in onda nel 2017, come sempre su Sky), sono puntati anche su Vittoria Fusco, alle prese con un intollerabile declassamento.
I delitti del BarLume: la ricostruzione dopo la distruzione
I delitti del BarLume imprime una svolta estremamente coraggiosa, concentrandosi sull’interiorità dei propri personaggi principali e mettendone in luce i lati più spigolosi e controversi del carattere. A fare da contraltare alle scariche di rabbia del Viviani del solito convincente Filippo Timi è il nuovo ingresso della stagione Piera Degli Esposti, che impersona un’esilarante psicologa chiamata al difficile compito di indagare sulla psiche compromessa del nostro “barrista”. I duetti fra i due donano dinamismo alla serie, mentre i ben più rancorosi dialoghi fra lo stesso Viviani e Tiziana (Enrica Guidi) assicurano continuità con ciò che abbiamo visto in precedenza. In mezzo a tanti cambiamenti, c’è qualcosa che non cambia mai, cioè la corrosiva ironia dei bimbi, che, soprattutto ne La loggia del cinghiale, ritroviamo più esilaranti che mai.
Un altro fattore immutabile sono i delitti che affliggono Pineta, che portano il Viviani ad avvicinarsi alla Fusco della sempre più brava Lucia Mascino, anch’essa in una fase delicata della sua vita professionale. Mentre Aria di mare si accoppia con l’umore nero del Viviani e della Fusco, dando vita a un thriller particolarmente torbido, anche se abbastanza prevedibile negli esiti, La loggia del cinghiale si propone come uno degli episodi più divertenti dell’intera serie, richiamando alla mente la goliardi di Amici miei, fra addi al celibato, scherzi brutali e una gita in barca, condita da una notevole citazione a Titanic.
La conferma di una serie che ha pochi eguali nel panorama italiano
Chiamata alla difficile prova del rinnovamento di dinamiche e contenuti, mantenendo il cast pressoché inalterato, I delitti del BarLume dimostra una sorprendente solidità, riuscendo a variare registro con disinvoltura e a scandagliare l’animo dei suoi protagonisti. Fondamentale in questo senso il tocco del confermassimo regista Roan Johnson e la sensibilità nella scrittura dei suoi collaboratori Davide Lantieri, Ottavia Madeddu e Carlotta Massimi, oltre che dell’autore dei romanzi su cui la serie è basata, Marco Malvaldi. Il colpo di scena sui titoli dei coda della stagione spalanca la porta a nuovi scenari, su cui si sono focalizzati i successivi cicli di episodi. Evoluzione e mutamento che non sarebbero stati possibili senza un approccio così rispettoso del pubblico e del materiale trattato, che ha pochi eguali nel panorama italiano e certifica la qualità de I delitti del BarLume, ormai a tutti gli effetti un punto fermo della serialità nostrana.
Overall
Verdetto
Chiamata al difficile compito di ricostruire sulle macerie del finale del precedente ciclo di episodi, la quarta stagione de I delitti del BarLume conferma la vitalità e la freschezza della serie, approfondendo la mentalità dei suoi protagonisti senza rinunciare al suo proverbiale umorismo.
Disney+
Hawkeye: recensione dei primi due episodi della serie Marvel

Il 2021 del Marvel Cinematic Universe, che si è aperto con WandaVision e si chiuderà con Spider-Man: No Way Home, ci ha portato tanti progetti diversi per atmosfere e tematiche, soprattutto sul piccolo schermo. La sontuosa serie con Elizabeth Olsen era essenzialmente una toccante riflessione sull’elaborazione del lutto, The Falcon and the Winter Soldier apriva a svariate analisi geopolitiche e sociali, mentre Loki e What If…? spalancavano la porta al multiverso, fondamentale per il futuro del franchise. Dal 24 novembre, approda su Disney+ Hawkeye, nuova miniserie in 6 episodi con protagonisti Jeremy Renner e Hailee Steinfeld, che ci fa compiere un deciso salto in avanti nel tempo: dal 2023 di Avengers: Endgame al 2025.
Un lasso di tempo in cui il mondo ha cercato di metabolizzare i due schiocchi di Thanos e Tony Stark, ricorrendo anche alla mitizzazione degli stessi Avengers, protagonisti di cosplay lungo le strade e addirittura di musical di Broadway. Proprio durante una di queste rievocazioni ritroviamo Clint Barton, il Vendicatore meno soggetto al divismo, nonché quello che fra Avengers: Infinity War e Avengers: Endgame aveva avuto la parabola umana più tortuosa e tormentata, con la scomparsa e la successiva riapparizione di tutta la sua famiglia, il suo temporaneo passaggio al lato oscuro, nelle vesti del killer Ronin, e la perdita della più cara amica Natasha Romanoff, sacrificatasi su Vormir per permettergli di conquistare la Gemma dell’Anima.
Un uomo che porta con sé tutto il dolore patito negli ultimi anni, ma che sta cercando faticosamente di ritrovare la propria pace interiore, godendosi qualche giorno di vacanza insieme ai suoi amati figli, ignaro del fatto che il passato sta per bussare di nuovo alla sua porta.
Hawkeye: passato e futuro della Marvel in una miniserie action a sfondo natalizio
Sulla strada di Occhio di Falco arriva Kate Bishop (una convincente Hailee Steinfeld), giovane ribelle e scapestrata la cui vita è cambiata bruscamente proprio durante la battaglia di New York vista in The Avengers, durante la quale Clint Barton si è distinto per coraggio e destrezza con il suo fidato arco. Da bambina altolocata, Kate ha dovuto infatti confrontarsi con un doloroso lutto e con un’improvvisa situazione di pericolo, crescendo poi nel mito di quel supereroe che, sprezzante del pericolo, abbatteva nemici con le sue frecce dai tetti della Grande Mela. Nel mondo post Thanos, Kate è una ragazza immatura e dal carattere difficile, che sogna di diventare a sua volta arciera, nonostante la madre (Vera Farmiga) e la sua nuova fiamma la spingano verso uno stile di vita più opulento e borghese.
L’operato di una pericolosa cospirazione criminale porta Kate a destreggiarsi pubblicamente col costume di Ronin, attirando inevitabilmente l’attenzione di Clint. Gli eventi portano così a un’improvvisata alleanza fra l’ex Avenger, che osserva con un misto di astio e rammarico la fama e la popolarità dei suoi compagni, e una sua potenziale allieva, che lo sprona a imbracciare nuovamente l’arco e a proteggere nuovamente il mondo da un’inaspettata minaccia.
Con Hawkeye, l’unico degli Avenger originali che non aveva ancora avuto un progetto dedicato può prendersi la luce dei riflettori, in un curioso mix di azione sullo sfondo del Natale (che riporta inevitabilmente alla mente Die Hard), commedia e buddy movie, che potrebbe avere profonde ripercussioni sul futuro del Marvel Cinematic Universe.
I fantasmi del passato
Nel corso dei due episodi che abbiamo avuto l’opportunità di vedere in anteprima, Hawkeye si concentra soprattutto sulla caratterizzazione della new entry Kate Bishop. Hailee Steinfeld mette in scena un personaggio complesso e stratificato, che nonostante la sua estrazione sociale ama sporcarsi le mani, anche a costo di imbattersi in gravi pericoli. Il contrasto con il taciturno e diffidente Clint Barton è il terreno dal quale nascono diversi siparietti comici ma anche la pietra angolare su cui imbastire un rapporto che nelle prossime puntate potrebbe deflagrare in molteplici direzioni.
Mentre i protagonisti si annusano a vicenda, sottotraccia i registi Rhys Thomas e Bert e Bertie delineano la minaccia con cui si scontreranno. Fra vecchie e nuove conoscenze, sullo sfondo si staglia l’ingombrante presenza della Yelena Belova di Florence Pugh, letale sorella adottiva di Natasha che abbiamo già visto in azione in Black Widow, convinta che dietro la morte della Vedova Nera ci sia proprio Occhio di Falco. Un Avenger disilluso e logoro contro due giovani rampanti, decise per motivi diversi a prendersi la ribalta insieme a lui. Nei prossimi episodi di Hawkeye ci sarà sicuramente da divertirsi, grazie anche alla presenza di Lucky the Pizza Dog, cane privo di un occhio fidato compagno di Clint e Kate nelle loro avventure.
Hawkeye: ci sarà una seconda stagione?
Il nostro giudizio su Hawkeye è inevitabilmente condizionato dalla visione incompleta della nuova serie Disney+. A fronte di due protagonisti ben caratterizzati e con una buona alchimia reciproca, non possiamo dire altrettanto dei personaggi secondari di Vera Farmiga, Tony Dalton e Brian d’Arcy James, sempre defilati e con motivazioni e personalità ancora poco chiare. I prossimi episodi ci diranno se con Hawkeye siamo di fronte a una nuova trave portante del Marvel Cinematic Universe, con una possibile prosecuzione per una seconda stagione, o davanti a un progetto suggestivo e ricco di spunti, ma fondamentalmente dimenticabile.
Overall
Verdetto
I primi due episodi di Hawkeye ci mettono di fronte a un progetto potenzialmente intrigante, ma che troverà la propria voce solo nel prosieguo della miniserie. Una coppia di protagonisti ben affiatati, nonostante siano agli antipodi per storia, carattere ed estrazione sociale, è il punto di forza di un racconto che può diventare fondamentale per il futuro del Marvel Cinematic Universe.
Disney+
What If… ?: recensione dei primi episodi della serie animata Marvel

Grazie a Disney, abbiamo avuto l’opportunità di vedere in anteprime i primi tre episodi di What If… ?, nuova serie animata del Marvel Cinematic Universe disponibile dall’11 agosto in esclusiva su Disney+. Un progetto che ha il chiaro intento di sviluppare il concetto di multiverso, già introdotto in Loki e fondamentale per il prossimo futuro di questo franchise in continua evoluzione. I nove episodi della serie (che è già stata rinnovata per una seconda stagione) saranno pubblicati a cadenza settimanale e sono ispirati a un’omonima serie antologica a fumetti della Marvel, pubblicata fra il 1977 e il 1984.
What If… ?: alla scoperta del multiverso Marvel

Il narratore di ogni episodio di What If… ? è l’Osservatore, misterioso personaggio (doppiato in originale da Jeffrey Wright) che ha il potere di muoversi lungo il multiverso, guardando da posizione privilegiata gli eventi e tutte le loro possibili variazioni. Come suggerisce il titolo, la serie è una sequenza di “e se?“, applicati ad alcuni dei più importanti eventi del Marvel Cinematic Universe. Nel primo episodio assistiamo così a un percorso alternativo del personaggio di Capitan America, con Peggy Carter che si fa iniettare il siero al posto di Steve Rogers prendendo di fatto il suo posto, con tanto di bandiera della Gran Bretagna nello scudo al posto di quella americana.
La seconda puntata si basa invece su un accidentale scambio di persona fra Star-Lord e T’Challa, con quest’ultimo che diventa un fuorilegge galattico al posto del personaggio interpretato da Chris Pratt. Questo episodio è anche l’occasione perfetta per ascoltare nuovamente la voce del compianto Chadwick Boseman, che proprio per questa serie è riuscito a prestare per l’ultima volta la sua voce al personaggio protagonista di Black Panther. Bocche cucite invece sulla terza puntata di What If… ?, la più sorprendente fra quelle che abbiamo avuto l’opportunità di vedere, della quale ci limitiamo a dire che mira al bersaglio grosso, modificando le fondamenta dell’intero progetto Avengers.
I primi tre episodi di What If… ?
Anche se tre episodi non sono sufficienti per comprendere come le varie sottotrame si intersecheranno fra loro e quale futuro possano avere le varianti alla mitologia del Marvel Cinematic Universe proposte dalla serie, possiamo già affermare che What If… ? è un ideale raccordo fra i concetti proposti da Loki, soprattutto nell’episodio conclusivo della prima stagione, e ciò che con ogni probabilità vedremo in Spider-Man: No Way Home e Doctor Strange nel Multiverso della Pazzia, i 2 film che tracceranno la strada della fase 4 del franchise. Importanti in questo senso le scelte operate sull’animazione. Lo stile impiegato è il cel-shading, che consiste in modelli 3D volti a richiamare i colori e i tratti dell’animazione tradizionale.
Una caratteristica che insieme all’utilizzo di alcune delle voci originali dei personaggi (fra le tante, anche quelle di Hayley Atwell e Samuel L. Jackson) contribuisce a metterci a proprio agio davanti alle distorsioni temporali e narrative proposte in What If… ?, anche se lo stile abbastanza ordinario dell’animazione potrebbe fare storcere il naso a chi vorrebbe dalla Marvel una maggiore sperimentazione visiva. Come da tradizione del Marvel Cinematic Universe, anche i toni e i registri variano da episodio a episodio, con la pura azione che coinvolge Peggy Carter che lascia spazio alla space opera di Star-Lord/T’Challa, fino ad arrivare alle sfumature più ombrose e tipicamente thriller della terza puntata.
Fra Ai confini della realtà e la storia a fumetti della Marvel
What If… ? si profila dunque come una rilettura in chiave cinefumettistica degli squarci sull’impossibile regalati da Ai confini della realtà. Anche se la seminale serie di Rod Serling è inarrivabile per profondità e importanza delle tematiche trattate, lo show creato da A.C. Bradley adempie perfettamente al proprio compito, riuscendo a intrattenere con brevi e per ora autoconclusivi episodi e a porre al tempo stesso le basi per possibili svolte del Marvel Cinematic Universe.
Inevitabile interrogarsi sul futuro di What If… ?. Le varianti mostrate nella serie prenderanno il posto degli eventi per cui ci siamo emozionati sul grande schermo o tutto questo resterà una sorta di divertissement, antipasto del multiverso? La risposta potrebbe stare nel mezzo, cioè nella coesistenza di queste realtà alternative, che, come accade nei fumetti, potrebbero offrire infinite possibilità agli autori e altrettante possibili visioni a noi spettatori. Non ci resta quindi che affidarci all’Osservatore per scoprire cosa ci riserverà il Marvel Cinematic Universe, a cominciare proprio dai prossimi episodi di What If… ?
Overall
Verdetto
I primi episodi di What If… ? ci mettono davanti a una serie del tutto imprevedibile, abbastanza canonica dal punto di vista dell’animazione ma capace di sorprendere per la libertà e il coraggio con cui ridiscute pilastri del Marvel Cinematic Universe.
Netflix
Generazione 56K: recensione della serie Netflix dei The Jackal

La Generazione 56K è una sorta di ponte fra passato e futuro. I nati fra anni ’80 e inizio anni ’90 hanno infatti una caratteristica peculiare e irripetibile: sono le ultime persone a essere cresciute nel mondo precedente alla diffusione su larga scala di internet, e ovviamente le prime ad aver abbracciato questa fondamentale transizione tecnologica. Sono i giovani cresciuti col cacofonico suono del modem 56K e con le bollette telefoniche trasformate in salassi dalla navigazione, pionieri di una internet pirata non solo per la mancanza di regole, ma anche e soprattutto per la totale libertà che poteva offrire un mondo ancora tutto da scrivere. Gli stessi giovani che, con l’approssimarsi della maturità e con l’avvento degli smartphone, sono stati improvvisamente sballottati in una rete diversa, certamente più diffusa e potente, ma anche meno appassionata e sognante.
Generazione 56K: fra nostalgia e disagio esistenziale
Come raccontare l’infanzia e l’età adulta di chi è cresciuto utilizzando le compilation come dichiarazioni d’amore e si ritrova oggi a scegliere potenziali spasimanti attraverso un tap su Tinder? Ci prova Generazione 56K, nuova serie Cattleya realizzata in collaborazione con The Jackal e diretta da Francesco Ebbasta e Alessio Maria Federici, disponibile per tutti gli abbonati a Netflix. L’incontro fortuito fra i due ex compagni di classe Daniel (Angelo Spagnoletti) e Matilda (Cristina Cappelli) dà il via a un racconto che, con lo sfondo di Napoli e dell’isola di Procida, si snoda lungo due diversi piani temporali, concentrandosi non soltanto su come sono cambiati i giovani adulti di oggi rispetto alle loro prime scorribande in amore e sul web, ma anche sull’utopia di conoscere con certezza il proprio posto nel mondo, sempre pronto a sorprenderci con un evento casuale e inaspettato.
A ben vedere, nel cortometraggio dei The Jackal 30 ANNI – il sabato sera, diretto dallo stesso Francesco Ebbasta nel 2016, ci sono già le fondamenta del progetto Generazione 56K. La nostalgia per gli anni ’90 (simboleggiata da Max Pezzali in versione angelo custode), lo smarrimento dei giovani adulti in un mondo che cambia freneticamente, l’attaccamento ai ricordi e agli affetti più cari come unica bussola per l’incertezza che ci avvolge. Non a caso, nel cortometraggio è proprio Pezzali, parte integrante della colonna sonora di Generazione 56K, a citare alcuni degli oggetti il cui nome scatena inevitabilmente un diluvio di ricordi della nostra infanzia. Dove 30 ANNI – il sabato sera riusciva a fare sintesi e a catturare l’essenza degli anni ’90, pur concentrandosi sul disagio esistenziale del presente, Generazione 56K disperde nel corso degli 8 episodi gran parte del proprio potenziale, abbandonandosi progressivamente a risvolti sentimentali tutt’altro che originali.
Gli anni ’90 di Procida
Non basta mostrare gli anni ’90 per fare sentire gli anni ’90, soprattutto a chi quell’epoca l’ha vissuta sulla propria pelle. Generazione 56K procede invece per accumulo, costruendo sottotrame marginali incentrate su dettagli di quel periodo (le compilation, le VHS, i floppy disk, le prime esperienze con la pornografia digitale) ma mantenendo al tempo stesso i piedi ben piantati nel presente, che segna l’improvviso riavvicinamento di Daniel e Matilda dopo anni di lontananza.
La ricostruzione scenica e scenografica del periodo è ammirevole, grazie anche alla fotografia pastello di Procida, isola fisica e mentale che accompagna la crescita dei protagonisti. Gli anni ’90 non si riflettono però negli adulti di oggi, che ci appaiono come persone completamente diverse dai bambini di 30 anni prima. Anche in questo caso, si procede infatti per labili associazioni di idee, trasformando il piccolo geek Daniel in un lavoratore nell’ambito delle app, insieme agli amici di sempre Luca (Gianluca Fru) e Sandro (Fabio Balsamo), storici volti dei The Jackal intrappolati nei bidimensionali ruoli dell’adulto con sindrome da Peter Pan e dell’uomo responsabile e risolto. Non sentiamo mai l’amicizia ultratrentennale del trio di protagonisti, né avvertiamo il ricordo di Daniel e Matilda nelle rispettive vite, come se gli anni ’90 fossero stati nascosti nello stesso bottiglione dei ricordi che custodisce i sogni dei bambini.
Generazione 56K: verso una seconda stagione?
A tratti, la caratteristica vena comica e malinconica dei The Jackal riaffiora nei dialoghi di Generazione 56K, soprattutto quando ci si avvicina ai temi più cari al gruppo, come l’instabilità emotiva e lavorativa dei millennial. È però troppo poco per un progetto che sposta rapidamente il proprio baricentro verso dinamiche sentimentali trite e abbastanza prevedibili, mettendo in secondo piano le atmosfere, le esperienze e i ricordi degli anni ’90. Con immutata fiducia nei confronti di uno dei gruppi comici più originali degli ultimi anni, non possiamo che augurarci che la seconda stagione della serie (più che probabile) riesca a correggere la rotta in questo senso, mettendo in risalto la vera essenza di quei bambini alle prese con gli albori di internet, partiti da Procida ma mai veramente tornati a casa.
Overall
Verdetto
A dispetto delle buone premesse, Generazione 56K si rivela una serie abbastanza prevedibile e convenzionale, in cui gli anni ’90 sono utilizzati come cornice di dinamiche sentimentali già viste e riviste.